E’ il 13 marzo, sono circa le 19. Sta
piovendo forte in piazza San Pietro, la primavera sembra lontana. C’è tanta
gente che aspetta, gli ombrelli aperti colorano la piazza che, ancora una volta,
sembra prendere le dimensioni del mondo intero. L’attenzione dei Media di tutto
il mondo è rivolta al comignolo che dovrebbe tra poco iniziare a fumare: sotto
il piovoso cielo di Roma c’è la Speranza che aspetta.
La “rinuncia” di Papa Benedetto XVI,
annunciata poco più di un mese prima, ci ha fatto sentire un po’ “orfani”: non
si assisteva da secoli ad un evento simile. “Anche il Papa è un uomo - ho
sentito dire in quei giorni – e sente la fatica e la malattia come tutti noi”.
Certo la sua decisione ci ha lasciati interdetti: interessanti le parole del
teologo e giornalista Röser che parla di “frammento di demitologizzazione, di
desacralizzazione della più alta autorità del magistero”. Un Papa uomo che, pur
“consapevole della gravità” di questa decisione, rinuncia per “ingravescente
aetate” (per l’età avanzata). La storia, dice il Röser, ci farà valutare meglio
tale evento, tra qualche anno. E, aggiunge, tale rinuncia potrà forse portare
nuova linfa alla Chiesa.
Ma torniamo in piazza San Pietro. La
Speranza sotto l’ombrello attende, dicevamo, con lo sguardo rivolto verso un
gabbiano che si è fermato per ore sul famigerato comignolo. Che strano, ho
pensato vedendolo sin dal mattino: è il simbolo della libertà, ma è anche un
messaggero spirituale, secondo alcune tradizioni. Vola nel cielo del Vaticano e
sembra attendere anche lui l’esito del conclave. (Di certo è diventato il
gabbiano più filmato e fotografato del mondo, nell’attesa della fumata bianca gli
occhi erano tutti su di lui)!
Ed ecco finalmente la fumata: all’inizio
mi sembra scura, ma no, è bianca, bianca come la neve. E’ sempre una grande
emozione: la Chiesa ha il suo nuovo Papa. Ecco i primi rintocchi del campanile
di San Pietro che confermano l’elezione avvenuta: dopo pochi minuti in tutte le
città del mondo si scatena una gran festa di campane.
Si dovrà attendere ancora per
l’annuncio fatto dal protodiacono con la formula consueta:
“Annuntio
vobis… Gaudium Magnum… Habemus Papam!”
Ed io nel mio cuore penso: Francesco, mi piacerebbe un Papa
Francesco. A mio padre, che prendendomi in giro mi scrive poco prima “si
chiamerà Claudio?” rispondo con due parole: “Spero Francesco”.
Dopo pochissimi secondi ecco il nome del
cardinale eletto, poi l’urlo della folla e di nuovo pochi attimi di attesa per l’annuncio
del nome scelto dal nuovo Pontefice:
“… qui sibi nomen imposuit…
Franciscum!”
La folla esplode, sembra impazzita.
La Speranza esulta, in tutte le piazze e le case del mondo. Anche nel mio
cuore. E il mio telefono inizia a squillare: “sarai contenta, si chiama
Francesco”.
Ed io, sì - rispondo - sì, sono
felice.
Felice perché la Chiesa ha il suo
nuovo Papa. Felice perché il nome che ha scelto porta con sé quella nuova linfa
di cui parla Röser, un programma, una promessa, un impegno che Jorge Mario
Bergoglio mantiene sin dal primo momento con poche scelte significative: si
affaccia dal balcone senza stola e senza mozzetta sulle spalle (indosserà solo
la stola per la consueta benedizione, per poi toglierla subito); non parla di
sé come Papa, ma come Vescovo di Roma; porta una croce di ferro al collo, saluta
la folla con un “buonasera” ed un sorriso che spiazza e conquista tutti per la
sua semplicità; invita i fedeli a pregare per Benedetto XVI. Infine chiede al
popolo di Dio una benedizione ed in quel minuto di silenzio si inchina per
ricevere le nostre preghiere. Ed io, in silenzio come gli altri e a capo chino,
chiedo a Dio e a San Francesco di ispirargli le parole e le azioni del suo
pontificato.
Sembra piacere a tutti il nuovo Papa.
Ogni giorno ci sorprende con dichiarazioni che confortano i nostri desideri:
vogliamo tutti che Papa Francesco sia un uomo di povertà e di pace come è stato
il Santo a cui si è ispirato, perché il mondo ha bisogno di una Chiesa povera,
più vicina alla gente. Torna in mente la frase che Dio disse a Francesco a San
Damiano, mentre lui pregava davanti al crocifisso oggi custodito nella chiesa
di Santa Chiara, in Assisi: “Francesco, va’ e ripara la mia Chiesa che cade in
rovina”. La Chiesa ha bisogno una ventata di primavera. Papa Francesco sarà
l’uomo del cambiamento? Sarà la primavera della Chiesa? Ce lo auguriamo tutti.
Però, ci sono due considerazioni che
mi piace condividere con voi: prima di tutto “non si deve cadere nell’equivoco
che Francesco d’Assisi sia tornato”[1].
Francesco non sarebbe mai diventato Papa, non accettò neanche l’ordinazione
sacerdotale, per umiltà. E sempre dal Santo d’Assisi scaturisce la mia seconda
considerazione: Francesco era molto legato al Papa e alla Chiesa di Roma, tanto
da chiedere più volte l’approvazione della sua Regola[2]:
il Santo d’Assisi era consapevole che la Chiesa sarebbe cambiata solo in
seguito ad un cambiamento del popolo di Dio. Francesco di certo rinnovò la
Chiesa, ma lo fece rinnovando prima di tutto se stesso.
E noi siamo davvero pronti ad essere
Chiesa? Siamo pronti ad essere veri discepoli? A volte penso che il cambiamento
che tutti auspichiamo faccia più paura ai fedeli che ai sacerdoti. Riflettiamo
sul fatto che per cambiare il mondo c’è bisogno del contributo di tutti.
Iniziamo a camminare, edificare e soprattutto a confessare, come Papa Francesco
ci ha esortato a fare, nella sua prima omelia da Pontefice, il giorno dopo la
sua elezione. Con l’impegno di tutti la primavera arriverà.
[1] Cito testualmente da un articolo di Chiara Frugoni,
storica esperta della vita e delle opere del Santo d’Assisi.
[2] Papa Onorio III nel 1216 istituì la solennità del
Perdono d’Assisi che si celebra il 2 agosto nelle chiese francescane di tutto
il mondo; nel 1223 concesse l’approvazione pontificia della Regola di San
Francesco: nella ”Legenda Maior” si narra che tale decisione fu presa dal
Pontefice in seguito a un sogno che egli fece in cui Francesco sorreggeva la
Basilica del Laterano (allora il cuore della Chiesa latina) che stava
crollando.
Nessun commento:
Posta un commento