domenica 17 marzo 2013

La primavera della Chiesa.


E’ il 13 marzo, sono circa le 19. Sta piovendo forte in piazza San Pietro, la primavera sembra lontana. C’è tanta gente che aspetta, gli ombrelli aperti colorano la piazza che, ancora una volta, sembra prendere le dimensioni del mondo intero. L’attenzione dei Media di tutto il mondo è rivolta al comignolo che dovrebbe tra poco iniziare a fumare: sotto il piovoso cielo di Roma c’è la Speranza che aspetta.
La “rinuncia” di Papa Benedetto XVI, annunciata poco più di un mese prima, ci ha fatto sentire un po’ “orfani”: non si assisteva da secoli ad un evento simile. “Anche il Papa è un uomo - ho sentito dire in quei giorni – e sente la fatica e la malattia come tutti noi”. Certo la sua decisione ci ha lasciati interdetti: interessanti le parole del teologo e giornalista Röser che parla di “frammento di demitologizzazione, di desacralizzazione della più alta autorità del magistero”. Un Papa uomo che, pur “consapevole della gravità” di questa decisione, rinuncia per “ingravescente aetate” (per l’età avanzata). La storia, dice il Röser, ci farà valutare meglio tale evento, tra qualche anno. E, aggiunge, tale rinuncia potrà forse portare nuova linfa alla Chiesa.
Ma torniamo in piazza San Pietro. La Speranza sotto l’ombrello attende, dicevamo, con lo sguardo rivolto verso un gabbiano che si è fermato per ore sul famigerato comignolo. Che strano, ho pensato vedendolo sin dal mattino: è il simbolo della libertà, ma è anche un messaggero spirituale, secondo alcune tradizioni. Vola nel cielo del Vaticano e sembra attendere anche lui l’esito del conclave. (Di certo è diventato il gabbiano più filmato e fotografato del mondo, nell’attesa della fumata bianca gli occhi erano tutti su di lui)!
Ed ecco finalmente la fumata: all’inizio mi sembra scura, ma no, è bianca, bianca come la neve. E’ sempre una grande emozione: la Chiesa ha il suo nuovo Papa. Ecco i primi rintocchi del campanile di San Pietro che confermano l’elezione avvenuta: dopo pochi minuti in tutte le città del mondo si scatena una gran festa di campane.
Si dovrà attendere ancora per l’annuncio fatto dal protodiacono con la formula consueta:
“Annuntio vobis… Gaudium Magnum… Habemus Papam!”
Ed io nel mio cuore penso: Francesco, mi piacerebbe un Papa Francesco. A mio padre, che prendendomi in giro mi scrive poco prima “si chiamerà Claudio?” rispondo con due parole: “Spero Francesco”.
Dopo pochissimi secondi ecco il nome del cardinale eletto, poi l’urlo della folla e di nuovo pochi attimi di attesa per l’annuncio del nome scelto dal nuovo Pontefice:
“… qui sibi nomen imposuit… Franciscum!”
La folla esplode, sembra impazzita. La Speranza esulta, in tutte le piazze e le case del mondo. Anche nel mio cuore. E il mio telefono inizia a squillare: “sarai contenta, si chiama Francesco”.
Ed io, sì - rispondo - sì, sono felice.
Felice perché la Chiesa ha il suo nuovo Papa. Felice perché il nome che ha scelto porta con sé quella nuova linfa di cui parla Röser, un programma, una promessa, un impegno che Jorge Mario Bergoglio mantiene sin dal primo momento con poche scelte significative: si affaccia dal balcone senza stola e senza mozzetta sulle spalle (indosserà solo la stola per la consueta benedizione, per poi toglierla subito); non parla di sé come Papa, ma come Vescovo di Roma; porta una croce di ferro al collo, saluta la folla con un “buonasera” ed un sorriso che spiazza e conquista tutti per la sua semplicità; invita i fedeli a pregare per Benedetto XVI. Infine chiede al popolo di Dio una benedizione ed in quel minuto di silenzio si inchina per ricevere le nostre preghiere. Ed io, in silenzio come gli altri e a capo chino, chiedo a Dio e a San Francesco di ispirargli le parole e le azioni del suo pontificato.
Sembra piacere a tutti il nuovo Papa. Ogni giorno ci sorprende con dichiarazioni che confortano i nostri desideri: vogliamo tutti che Papa Francesco sia un uomo di povertà e di pace come è stato il Santo a cui si è ispirato, perché il mondo ha bisogno di una Chiesa povera, più vicina alla gente. Torna in mente la frase che Dio disse a Francesco a San Damiano, mentre lui pregava davanti al crocifisso oggi custodito nella chiesa di Santa Chiara, in Assisi: “Francesco, va’ e ripara la mia Chiesa che cade in rovina”. La Chiesa ha bisogno una ventata di primavera. Papa Francesco sarà l’uomo del cambiamento? Sarà la primavera della Chiesa? Ce lo auguriamo tutti.
Però, ci sono due considerazioni che mi piace condividere con voi: prima di tutto “non si deve cadere nell’equivoco che Francesco d’Assisi sia tornato”[1]. Francesco non sarebbe mai diventato Papa, non accettò neanche l’ordinazione sacerdotale, per umiltà. E sempre dal Santo d’Assisi scaturisce la mia seconda considerazione: Francesco era molto legato al Papa e alla Chiesa di Roma, tanto da chiedere più volte l’approvazione della sua Regola[2]: il Santo d’Assisi era consapevole che la Chiesa sarebbe cambiata solo in seguito ad un cambiamento del popolo di Dio. Francesco di certo rinnovò la Chiesa, ma lo fece rinnovando prima di tutto se stesso.
E noi siamo davvero pronti ad essere Chiesa? Siamo pronti ad essere veri discepoli? A volte penso che il cambiamento che tutti auspichiamo faccia più paura ai fedeli che ai sacerdoti. Riflettiamo sul fatto che per cambiare il mondo c’è bisogno del contributo di tutti. Iniziamo a camminare, edificare e soprattutto a confessare, come Papa Francesco ci ha esortato a fare, nella sua prima omelia da Pontefice, il giorno dopo la sua elezione. Con l’impegno di tutti la primavera arriverà.



[1] Cito testualmente da un articolo di Chiara Frugoni, storica esperta della vita e delle opere del Santo d’Assisi.
[2] Papa Onorio III nel 1216 istituì la solennità del Perdono d’Assisi che si celebra il 2 agosto nelle chiese francescane di tutto il mondo; nel 1223 concesse l’approvazione pontificia della Regola di San Francesco: nella ”Legenda Maior” si narra che tale decisione fu presa dal Pontefice in seguito a un sogno che egli fece in cui Francesco sorreggeva la Basilica del Laterano (allora il cuore della Chiesa latina) che stava crollando.